domenica 3 luglio 2011

Di come sono arrivata alla conclusione che avevo bisogno di scrivere un post su Elvis Costello

di eels4tea

Non so se vi siete mai trovati in balia delle vostre piccole ossessioni. Temo, in realtà, che sia capitato più o meno a tutti gli appassionati di rock/pop vissuti nella seconda metà del XX secolo. Sono infatti alcuni dei migliori osservatori delle abitudini di consumo contemporanee, come Nick Hornby, Chuck Klosterman, o Jonathan Coe, a mostrarci che la modalità di fruizione “ossessiva” è quella sicuramente dominante per l'ascolto della musica leggera. Per quanto mi riguarda si tratta di una caratteristica che mi segue dall'infanzia e che, ovviamente, ha trovato i suoi massimi picchi di espressione durante l'adolescenza, quando le mie personali ossessioni – non solo musicali, ma anche letterarie e sentimentali – avevano più che altro la funzione di copertine di Linus, da opporre alle ansie esistenziali che affliggevano me come qualsiasi altro adolescente medio. Nel tempo, con l'avvento dell'età adulta, la mia tendenza al feticismo si è fortunatamente attenuata – o forse ho solo imparato a nasconderla meglio a me stessa. Fatto sta, comunque, che non ne sono ancora completamente immune e a volte non solo mi ritrovo immersa in nuove ossessioni, ma quelle vecchie mi inseguono e riemergono ciclicamente, costringendomi ad interessarmi e a parlare continuamente, oltre che in modo vagamente irritante, di personaggi e artisti di cui tutti speravano mi fossi dimenticata per sempre.

Immagino che queste oscure forze che ancora abitano la mia psiche siano ciò che ultimamente mi ha spinto a seguire Bret Easton Ellis – una tipica ossessione tardo-adolescenziale – su Twitter. Con “seguire” intendo, naturalmente, che ormai una piccola parte di me si alza dal letto ogni mattina sperando di trovare sulla mia home una delle sue pretenziose, annoiate, snobissime osservazioni sugli scandali politico-sessuali statunitensi, gli ultimi blockbuster hollywoodiani, la vita quotidiana con il compagno ventiquattrenne o i protagonisti dei reality show più in voga in questo momento.

La parte migliore è che ciò accade davvero molto spesso, dato che, a quanto pare, Bret Easton Ellis (d'ora in poi BEE) ha capito già da un po' che Twitter è un ottimo mezzo di promozione, soprattutto grazie alla presenza di decine di migliaia di imbecilli i quali reagiscono scandalizzati e privi di humor ai suoi “controversi” tweet, aumentandogli la quota di followers.

[In questo tweet: BEE risponde con grazia e delicatezza ad una tizia che aveva commentato un suo precedente tweet sulle dimissioni di Anthony Weiner. Per spiegazioni riguardanti le categorie di “Empire” e “post-Empire” cercatevi l'articolo su Jersey Shore che Ellis ha scritto per Playboy. Sì, avete capito bene]

Ma non perdiamoci in questioni di social network. Il punto è che, per colpa del rapido e astuto twittare di BEE, mi sono trovata ancora una volta davanti allo schermo del mio computer con la carta di credito in mano a spendere una trentina di euro per recuperare i suoi ultimi tre romanzi, dopo avere passato quattordici anni ad ignorarli consapevolmente. Per essere precisi, il primo divorzio personale da BEE può essere datato al momento in cui una delle più pervasive ossessioni sentimentali della mia vita – uno studente di lingue anglo-ginevrino nevrotico e biondiccio che, ça va sans dire, si riconosceva profondamente negli apatici personaggi di BEE e aveva quindi convinto anche me ad adorarli incondizionatamente – ahimè mi abbandonò, provocando alcuni miei gesti tanto teatrali quanto rigorosamente confinati all'interno della mia immaginazione. Uno di questi fu lo sprezzante (e silenzioso) rifiuto di quanto di letterario avevamo condiviso.

In breve, la mia rediviva ossessione per BEE è nel pieno della sua fioritura, e in realtà la seconda chance che le ho concesso si sta rivelando molto interessante. Prima di tutto ho scoperto che, come prevedibile, egli non è il talentuoso scrittore maledetto che credevo una volta, ma utilizza metafore scontate, immagini ovvie e il suo ultimo romanzo è quasi illeggibile. Tuttavia, accanto a ciò, mi si è rivelata un'altra grande verità, e cioè che sono legata all'amato Bret da una connessione che scavalca la semplicistica questione della qualità della sua scrittura, per raggiungere un livello molto più profondo: quello dove crescono e prosperano le ossessioni personali di ognuno di noi. Ok, temo che nel suo caso ciò abbia qualche risvolto seriamente patologico – oltre che molto redditizio – ma ora preferirei non dare peso ai significati più intimi di questo fatto, per limitarmi invece a riconoscere il nostro comune modo di attaccarci un po' troppo visceralmente a quelli che sono i nostri consumi culturali, e in particolare musicali. (Ecco, ho detto “musicali”, dovrebbe segnalarvi che questo post sta finalmente acquisendo il diritto di essere pubblicato su questo blog).

Credo che sia questa una delle ragioni principali che mi impediscono di buttare i suoi libri nel bidone della carta da riciclo: li leggo, noto con quanta precisione nomi di cantanti e titoli di canzoni vengono legati a personaggi, luoghi, momenti, situazioni, e mi sembra che questa estrema minuziosità non sia solo funzionale a restituire fedelmente lo Zeitgeist degli anni Ottanta reaganiani o del mondo dell'alta moda newyorkese, ma possa essere anche considerata il risultato di ascolti e riflessioni musicali, come dire, ossessivi. Insomma, la sua è una meta-ossessività, un'ossessività al cubo, e io riesco a relazionarmici molto facilmente.

Bret Easton Ellis (© Jeff Burton)
In realtà, molto altro ci sarebbe da dire sul rapporto tra BEE, i suoi romanzi e la musica da classifica. Potrei ora perdermi in un infinito discorso riguardo al ruolo della cultura pop nell'opera ellisiana o all'influenza di Phil Collins sulla mente dei serial killer, ma ho controllato e l'hanno già fatto in parecchi prima di me. Direi che, se veramente vi interessa, potete iniziare consultando questo articolo del Guardian, o questa playlist compilata da Vice Magazine raccogliendo tutta la musica twittata da BEE in dieci mesi, o, ancora, recandovi sul sito ufficiale del suo ultimo romanzo per ascoltare tutte le playlist costruite sui riferimenti musicali contenuti nei suoi libri (la mia preferita, ovviamente, è quella di Glamorama – il suono della mia adolescenza). Vi avverto subito: non è roba per lettori di Pitchfork o ragazzini indie malinconici. Se avete intenzione di avvicinarvi al mondo di BEE dovete anche accettare il fatto che la colonna sonora che vi accompagnerà costantemente contiene quasi solo musica MTV e Billboard approved. Lo dico soprattutto perché questo è un particolare che sembra non smettere mai di ferire a morte la sensibilità degli utenti di Twitter, i quali evidentemente erano convinti che il “vero” BEE, con la sua anima tormentata e maledetta, passasse i pomeriggi chiuso in camera ad ascoltare gli Smiths e Nick Cave. BEE non è Nick Hornby, mi dispiace.

Detto questo, c'è almeno un cantante che ritorna regolarmente, con cui Ellis sembra avere un rapporto duraturo, e che potete ascoltare tutti senza rabbrividire dal disgusto o sentirvi in colpa per avere abbassato il livello dei vostri ascolti. Come forse avrete indovinato si tratta di Elvis Costello, ma il livello della mia ossessione per Bret mi ha fatto esaurire lo spazio universalmente accettato per un post, quindi saremo costretti a parlarne nella prossima puntata.

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